«Cari anziani, il futuro è tutto vostro» Ripensare comunità con i capelli grigi
Anziani, un futuro tutto da costruire. Anche da parte della Chiesa. Nonostante l’impegno di papa Francesco. Nonostante le sue 18 catechesi sul tema della vecchiaia. Nonostante l’invenzione di un evento di alto valore simbolico, come la Giornata mondiale dei nonni e degli anziani. Nonostante l’età media dei fedeli sempre più elevata. Ecco, nonostante tutto questo sulla pastorale per la terza e quarta età, il dato ricorrente nelle diocesi italiane si chiama confusione e incertezza. È partita da questa situazione la Fondazione Età Grande promossa dall’arcivescovo Vincenzo Paglia, che nell’autunno dello scorso anno ha commissionato alla Ipsos una ricerca sulla cura pastorale rivolta agli anziani nelle diocesi italiane.
«Volevamo indagare quale fosse la ricezione del magistero di papa Francesco sugli anziani perché spiega l’arcivescovo Paglia che è anche presidente della Pontificia accademia per la vita e presiede tra l’altro la commissione governativa per la riforma dell’assistenza agli anziani – il prolungamento degli anni di vita che fa dell’Italia il secondo Paese più longevo al mondo, insieme alla drastica riduzione delle nascite, impongono una visione nuova sulla età grande, quella appunto degli anziani. Passaggio obbligatorio per la costruzione di questa nuova cultura pastorale della terza età, la conoscenza dell’esistente. I risultati? Risposte soggettive ed estemporanee, mancanza di un coordinamento nazionale, scarsa capacità di valorizzazione della persona anziana come risorsa, troppa concentrazione sull’aspetto legato alla salute e all’assistenza. Insomma, se come hanno spiegato ieri mattina l’arcivescovo Vincenzo Paglia e il presidente dell’Ipsos, Nando Pagnoncelli, nel corso della presentazione della ricerca, di fronte a un’aspettativa di vita crescente e un contesto storico-sociale-familiare in mutamento, si fa fatica a cogliere i significati sempre più differenziati collegati all’essere anziani oggi.
Esperienza, saggezza, memoria. I valori dimenticati. Quando si chiede di associare un termine alla categoria terza età, la visione in prima battuta è sempre al negativo. Si pensa alla solitudine (35%), alla vecchiaia (33%), all’assistenza sanitaria (30%), alla non autosufficienza (28%). E valori come l’esperienza, la saggezza, la custodia della memoria e delle tradizioni familiari? Ci sono ma arrivano dopo, con percentuali di risposta che variano dal 28 al 18%. Ancora peggio fanno hobby e tempo libero (5%) e uguaglianza (3%).
Eppure, nonostante sia evidente l’importanza che la Chiesa pone sulla terza età (molto importante per il 48% degli intervistati), quando si cerca di mettere a fuoco l’anzianità 6 risposte su 10 spiegano che si tratta di una persona che non ha più energie psico-fisiche per vivere a pieno la propria vita, oppure viene meno l’autonomia fisica e subentra l’esigenza di assistenza continua. Soltanto il 33 per cento degli intervistati sceglie una definizione più neutra come esce dal mercato del lavoro ed entra nel pensionamento.
Solitario, giovanilista o autoconsapevole? Un aspetto positivo riguarda la capacità di vedere l’anzianità non come un dato omogeneo ma attraverso tipologie diversificate. All’interno delle due grandi aree, quella della non autosufficienza e quella della piena autonomia, esistono nel primo ambito anziani istituzionalizzati e assistiti al proprio domicilio, nel secondo ambito categorie come il solitario, il giovanilista, l’autoconsapevole. Categorie che, anche per diocesi rappresentano un problema. Mentre l’anziano non autosufficiente istituzionalizzato vive molto spesso in strutture gestite direttamente dalla Chiesa, quello che viene assistito a domicilio è difficile da raggiungere e spesso non si è neanche a conoscenza della sua esistenza. Problemi simili presentano anche il solitario che rifugge da ogni socializzazione e il giovanilista che spesso vive in completa autonomia, convinto dei propri mezzi. Le figure più attive sono rappresentate dall’autoconsapevole, persone impegnate nel volontariato per il 70% la loro presenza è decisiva per il funzionamento di attività e associazioni in ruoli direttivi del laicato e anche nella semplice
partecipazione ecclesiastico/liturgica.
In questo panorama si inserisce il discorso pastorale che, se da un lato riconosce l’importanza delle parole di papa Francesco, dall’altro ammette le difficoltà di tradurre queste indicazioni in proposte pastorali. Per il 48% degli intervistati la diocesi ha accolto con entusiasmo quanto detto dal Papa. Ma c’è anche un 27% che ammette di non aver ancora posto attenzione al tema e un 25% che si dice preoccupato perché il Papa ha sollevato una questione su cui sappiamo di avere delle carenze da colmare. E, a proposito dell’opportunità rappresentata dagli anziani di
avere un ruolo nella pastorale diocesana, la metà valuta la loro presenza come risorsa attiva che opera con regolarità, l’altra metà come risorsa passiva che richiede sostegno.
Pastorale della salute, della fragilità o della famiglia? Un altro problema è rappresentato dall’ambito pastorale in cui viene inserita l’attività degli anziani. Il 78% per cento delle diocesi fa riferimento alla pastorale della salute, con uno sguardo pesantemente segnato da una caratterizzazione sanitaria, il 6% a una non meglio definita pastorale degli anziani. In qualche caso si parla di pastorale della terza età, oppure della famiglia, della fragilità, degli ammalati, delle case di riposo.
Incontri, gite, pellegrinaggi, laboratori. Quando la pastorale per anziani o terza età funziona spiega ancora la ricerca è in grado di combattere il rischio di auto-isolamento, evita la polarizzazione verso le fasce più giovani (come succede in molte parrocchie) e riconosce che senza uno sguardo specifico gran parte degli anziani autonomi e consapevoli, vera linfa per la diocesi stesse, si sarebbe allontanata della Chiesa. Tante le attività sperimentate: gruppi di lavoro multidisciplinari, incontri tematici, incontri, pellegrinaggi, gite, momenti intergenerazionali, laboratori di idee. Tutto bene? Sì, ma si registra una sostanziale mancanza di coordinamento a livello macro: le pastorali nascono e si alimentano grazie alle iniziative dei singoli attori.
Autore: Luciano Moia